lunedì 4 novembre 2013

Borrowed Time

Le rose sono in ritardo a fiorire, quest’anno.
O forse è il mese sbagliato, non mi ricordo tanto bene. La mia memoria non è più quella di una volta. È dall’incidente.
Una scena terribile, per fortuna Fabio non l’ha vista. Era al lavoro, lui. Io avevo il giorno libero, e avevo deciso che mi  serviva un bollitore nuovo e che al centro commerciale c’era proprio il modello che mi piaceva. È assurdo, un incidente per un bollitore.

Comunque non è stata colpa mia. Il camion sul cavalcavia ha sbandato e si è inclinato, e ha rovesciato il carico. E io dovevo passare lì sotto proprio in quel momento. Un disastro. C’erano tutti: gli agenti della polizia municipale con i berretti bianchi fradici di pioggia, e i ragazzi del soccorso con le visiere dei cappellini da baseball abbassate, e i mezzi dei pompieri con i lampeggianti ancora accesi che mandavano fasci di luce colorata sull’asfalto. Il tettuccio della mia auto era tutto accartocciato. E pensare che mi ero sentita in colpa per aver lasciato Simone all’asilo.
C’era pioggia arancione dappertutto, e faceva tanto freddo.

Adesso non c’è la pioggia, ma il sole non scalda. Io ho sempre freddo. Anche Fabio, che era praticamente una stufa umana, dice “C’è una corrente d’aria in questa stanza”, e controlla le finestre e alza il termostato. Mi fa tanta tenerezza. Probabilmente è diventato vecchio. Di sicuro ha un sacco di capelli bianchi, anche se per me è sempre bellissimo. Gli voglio così bene, e anche lui mi ama, e lo dice spesso. Solo che gli vengono gli occhi lucidi. È buffo, dire una cosa così dolce con un’aria così triste. Ma lui è sempre stato un ragazzo sensibile. Sensibile e gentile, non si arrabbiava mai.

Non come adesso. Simone ha trovato uno dei miei vecchi bastoncini da escursione, e lo brandisce  come una spada. Gira per il soggiorno abbattendo mostri immaginari, e fa un verso con la voce. Fabio si arrabbia, e gli dice di non toccare le cose nell’armadio in corridoio, che le deve lasciare stare. Simone butta il bastoncino in terra, e va nella sua stanza sbattendo la porta.

Mi piaceva vederlo giocare, mi ricordava la montagna. Dall’incidente non ci sono più stata. Non che mi manchi, me la ricordo male e poi chissà che freddo ci fa, con questo sole che non scalda, e che non fa fiorire le rose. Le rose che Fabio pota e cura e non mi fa mai mancare, vicino al sasso con scritto il mio nome.

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